BOGOTÁ - La famiglia di Lyan Hortúa, il bambino di 11 anni rapito il 3 maggio a Jamundí, nella Valle del Cauca, ha confermato di aver pagato un riscatto per garantirne la liberazione.
Sebastián Bonilla, zio del minore, ha dichiarato: “Sì, abbiamo dovuto pagare un riscatto”. Il pagamento è stato effettuato in segreto, senza informare le autorità, e ha comportato un grave indebitamento per la famiglia, che ha considerato la vita del bambino come priorità assoluta e disposta a qualsiasi cosa per riportarlo a casa.
Nonostante la liberazione, la famiglia ha espresso delusione per la mancanza di supporto istituzionale durante il periodo di prigionia.
Secondo Bonilla, né il presidente Gustavo Petro né altri rappresentanti del governo hanno contattato la famiglia durante i 18 giorni di sequestro.
Inoltre, un funzionario statale avrebbe definito “ragionevole” la somma richiesta dai rapitori, commento che ha avuto un impatto devastante sulla madre di Lyan, portandola a crisi nervose e ricoveri ospedalieri.