MELBOURNE - Maria Lucenti, ricercatrice e docente di Storia dell’educazione all’Università di Genova è in Australia per un progetto che vuole ricostruire le pratiche didattiche e di insegnamento delle quattro scuole bilingue australiane, allo scopo di capire quale modello di bilinguismo venga applicato.
Partendo dalle due scuole elementari del Victoria, a Footscray e a Brunswick South, si è poi recata nell’ACT per osservare i progressi della Yarralumla Primary School, e infine in New South Wales, alla Italian Bilingual School, la scuola bilingue del Co.As.It.
“Durante i primi giorni di osservazione ho avuto l’opportunità di vedere come lavorano diverse insegnanti delle scuole di Melbourne, analizzando quali tipologie di risorse vengono utilizzate”, ha spiegato Lucenti.
Essendo tutti gli istituti presi in considerazione, scuole di immersione linguistica, l’italiano non si studia come seconda lingua, ma l’intero programma scolastico viene insegnato nelle due lingue - al 50 per cento in inglese e al 50 per cento in italiano -. Per questa ragione, spesso sono gli stessi insegnanti a costruire le risorse didattiche, in risposta alle specifiche esigenze della classe.
La docente è rimasta piacevolmente sorpresa dalla realtà delle scuole bilingue del Victoria, “scuole statali che accolgono gli studenti residenti nella zona”. “Si creano quindi classi molto eterogenee, con alunni che spesso si trovano immersi in una lingua con cui non hanno legami precedenti”.
Tra le prime considerazioni riportate da Lucenti, c’è “la consapevolezza di spingere verso la direzione dei benefici del bilinguismo, a prescindere dalla lingua studiata”. “Anche gli insegnanti hanno sottolineato il fatto che i bambini che parlano già una seconda lingua a casa imparano una terza lingua molto più facilmente, come dimostrato poi da numerose ricerche”.
L’interesse per le scuole bilingui australiane è nato in seguito alla visita dello scorso anno di Anna Antoniazzi, insegnante di Letteratura per l’infanzia e collega di Maria Lucenti all’Università di Genova.
Antoniazzi, a Melbourne per intervenire come relatrice alla Conferenza nazionale dei docenti di italiano in Australia del 2024, aveva trovato particolarmente stimolanti le attività delle scuole bilingue che aveva visitato, condividendo con Lucenti la volontà di scrivere un progetto.
“Ci siamo rese conto della totale mancanza di dati relativi a queste scuole, anche perché sono sperimentazioni molto recenti – ha spiegato Lucenti –. C’è molto poco sulla storia dell’educazione in Australia e abbiamo voluto colmare una mancanza attraverso questo progetto, che è stato cofinanziato dall’Università di Genova e dai Co.As.It. di Melbourne e Sydney, con la partecipazione dell’Ambasciata italiana di Canberra e della sua addetta culturale e dirigente scolastica, Valentina Biguzzi”.
Nella sua carriera, Lucenti è entrata a contatto con numerose realtà bilingue in diverse parti del mondo: prima un dottorato di ricerca presso l’Università di Carthage in Tunisia, seguiti dai post dottorati in Canada e da alcuni progetti che l’hanno portata in Inghilterra e in Germania.
“La cosa che mi ha incuriosito particolarmente dell’Australia è come non sia mai stata aperta una vera e propria scuola italiana, a fronte della numerosa presenza di italiani. Probabilmente, il fatto che l’italiano sia una lingua molto insegnata, spiega in parte questo dato. L’italiano era già presente nelle scuole e per questo forse non si è sentita la necessità di aprire una scuola italiana come è avvenuto in tanti altri Paesi nel resto del mondo”.
Sono profonde le differenze nell’approccio australiano all’insegnamento, sia con l’Italia sia con gli altri continenti, ha fatto notare la ricercatrice.
Ma fra tutte, la cosa che l’ha probabilmente maggiormente colpita è il fatto che alla scuola primaria non vengano utilizzati i libri di testo, “una peculiarità australiana, frutto di una decisione nata da un tipo di insegnamento che privilegia un approccio più ludico, basato sulla sperimentazione e sulle competenze”, ha concluso.